La chiamano “clear meat” ed è la carne del futuro, realizzata in laboratorio per far fronte alla crescita demografica

di Loreto Nemi, dietista e nutrizionista, docente universitario

 

Qualche tempo fa mi sono imbattuto in una lectio di Eliana Liotta su Rai1 dedicata al cibo del futuro con il titolo “Il cibo che salva la vita”. E così ho voluto proporre i suoi temi anche sul mio blog.

Oggi infatti ti parlerò della “carne del futuro” e di cosa mangeremo quando la popolazione sarà cresciuta in maniera esorbitante negli anni che verranno.

 

Siamo ufficialmente 8 miliardi, 8 miliardi di persone sedute a tavola, destinate a diventare 11 entro la fine del secolo secondo le previsioni. Come ci sfameremo?

 

È indispensabile puntare sull’innovazione, a partire dalla clean meat, la carne da coltivazione cellulare.

 

Già in un articolo di qualche tempo fa vi ho parlato degli insetti da mangiare, disgustosi o meno, rappresentano una possibile risorsa per l’uomo del 2100.

 

Ora però vorrei scrivervi in riguardo alla cosiddetta “agricoltura cellulare”, cioè l’agricoltura della carne, del pesce e perfino del latte creati a partire da cellule animali.

 

Si tratta di cibo vero, solo che è ottenuto in laboratorio, senza macellare alcun capo di bestiame.

 

Si tratta di un futuro già presente.

Singapore è il primo stato ad avere approvato la vendita di carne di pollo coltivata dagli scienziati e in Francia, nel 2020, sono stati raccolti 86 milioni di euro per finanziare le imprese in questo campo.

 

Non pochi storceranno il naso. Penseranno: «La carne deve essere naturale e non artificiale!» Ma bisogna saperlo, che nel giro di qualche anno potremmo ritrovarci nel piatto una bistecca concepita in provetta.

 

Prima di giudicare, bisogna riflettere.

 

Da qui al 2100 si stima che siederanno a tavola 3 miliardi e mezzo di persone in più.

Come si sfameranno 11 miliardi di persone? Se il consumo di carne raddoppiasse il sistema non reggerebbe!

 

Già oggi dal bestiame deriva una quantità di gas serra che è superiore a quella di tutti i trasporti messi insieme e i gas serra sono responsabili del riscaldamento globale: trattengono il calore del sole come in una serra.

 

A chi è perplesso all’idea di mangiare un hamburger nato in laboratorio, chiedo di pensare alle condizioni di troppi allevamenti intensivi che ignorano il benessere degli animali.

 

A chi inorridisce all’idea di un filetto di salmone coltivato dagli scienziati, ricordo l’allarme della FAO: «Stiamo finendo il pesce!». Il 90% del patrimonio ittico usato a scopo commerciale è sfruttato al massimo.

 

Cos’è la clear meat?

 

In America la chiamano “clear meat”: carne vera ma pulita perché elimina la macellazione, gli allevamenti intensivi e l’uso di antibiotici nella zootecnia.

 

I cibi ottenuti in laboratorio potrebbero essere la normalità per i figli dei nostri figli.

 

Il procedimento consiste nel prelevare dai tessuti di un animale anestetizzato tipi speciali di cellule (le staminali), nel nutrirle e nel farle moltiplicare all’interno di apparecchiature che riproducono un ambiente simile a quanto accade all’interno di un organismo vivente.

 

Si calcola che una mucca potrebbe fornire con una sola “donazione cellulare” materia per 175 milioni di hamburger: gli stessi che si ottengono abbattendo 440 mila animali. E all’estero stanno già coltivando cellule bovine di ghiandole mammarie che secernono latte.

 

Leggi anche: Cosa mangeremo nel 2100?

 

Naturalmente perché carne, latte e pesce coltivati vengano venduti al supermercato sotto casa servirà il via libera della sicurezza alimentare e il sapore dovrà essere accettabile.

 

La storia della carne sintetica

 

Alla carne sintetica la NASA lavora già dal 2000.

Ma il primo hamburger è stato presentato alla stampa nel 2013 nei Paesi Bassi; il costo era proibitivo (circa 325 mila dollari). Da allora le cifre sono calate, al punto che oggi per una produzione industriale si parla di 20 euro al chilo e anche meno.

 

Con la carne coltivata in laboratorio si eliminerebbe la sofferenza di altri esseri viventi. Secondo alcune stime, riducendo drasticamente gli allevamenti intensivi, useremmo fino al 99% del suolo in meno e fino al 96% di acqua in meno; le emissioni di gas serra diminuirebbero di oltre il 75%.

 

Conclusioni

In fatto di cibo, abbiamo bisogno di innovazione: non solo per progredire ma ormai per sopravvivere.

E ben vengano le nuove idee purché sane!