Uno studio recente dimostra come il consumo elevato di cibi ultraprocessati sia causa dell’accorciamento precoce dei telomeri, le estremità dei cromosomi che marcano l’età biologica, determinando di fatto un vero e proprio processo di invecchiamento prima del tempo.
Quali sono i cibi ultraprocessati?
Per ultraprocessato nel campo dell’alimentazione si intende quell’insieme di prodotti industriali che presentano una lista chilometrica di ingredienti, facili e veloci da preparare, formule nate in laboratorio e costituite in gran parte da sostanze derivate da alimenti e da additivi (aromi, coloranti, emulsionanti e altro). A differenza del cibo genuino (quello fresco e di qualità) i prodotti molto lavorati sono a lunga scadenza e costano poco sia a chi li produce che a chi li consuma. Un uso quotidiano ed eccessivo di questi cibi è associato a patologie croniche, come ipertensione, obesità, sindrome metabolica, depressione, diabete di tipo 2 e diversi tipi di cancro.
Secondo uno studio presentato all’European and International Congress on Obesity e pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition, chi consuma più di 3 porzioni al giorno di cibo super-elaborato ricco di zuccheri, sale, grassi saturi, additivi, coloranti, conservanti ecc., ha una probabilità doppia di avere telomeri più corti.
Ciò vuol dire che chi segue un’alimentazione eccessivamente industrializzata potrebbe invecchiare più velocemente.
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Cosa sono i telomeri?
I telomeri (di cui ho già parlato qui) sono strutture formate da DNA e proteine localizzate alle estremità dei cromosomi e ne preservano la loro integrità e stabilità. Ogni volta che le cellule invecchiano, i telomeri si accorciano. Pertanto, la loro lunghezza è considerata un marcatore dell’età biologica.
Lo studio: telomeri e cibi ultraprocessati
I ricercatori dell’Università di Navarra, Pamplona e Madrid hanno analizzato i dati di 645 uomini e 241 donne – età media 67,7 anni – che hanno fornito sia campioni di saliva per l’analisi del Dna sia accurate registrazioni di quale e quanto cibo industriale assumessero quotidianamente.
In base al consumo di prodotti ultra-processati gli autori li hanno distribuiti in quattro 4 gruppi: il gruppo a basso consumo di cibo ultra-lavorato (meno di 2 porzioni al giorno), quello a consumo medio-basso (da 2 a 2,5 porzioni al giorno), il gruppo a consumo medio-alto (da più di 2,5 a 3 porzioni al giorno) e infine quello a consumo alto (più di 3 porzioni quotidiane).
I risultati hanno evidenziato come nel gruppo a consumo maggiore era più elevata la probabilità di una storia familiare di malattie cardiovascolari, diabete e grassi in eccesso nel sangue. Chi apparteneva a questo gruppo aveva più degli altri l’abitudine di fare spuntini tra un pasto e l’altro, consumava più grassi (saturi e polinsaturi), sodio, colesterolo, fast food e carni lavorate, e assumeva meno carboidrati, proteine, fibre, olio d’oliva, frutta, verdura e altri micronutrienti.
Attraverso l’analisi dei telomeri si è osservato come il rischio di avere telomeri più corti aumentava notevolmente di pari passo col consumo di cibo molto industrializzato. Dal consumo basso al consumo medio-basso di cibo ultraprocessato l’aumento del rischio di avere telomeri accorciati era del 29%. Del 40% e dell’82% se si passava rispettivamente dal consumo medio-basso al consumo medio-alto, e dal consumo medio-alto al consumo alto. L’assunzione di questi cibi si associava anche ad una maggiore probabilità di depressione.
Qualche tempo fa un articolo di Repubblica trattava dei cibi ultraprocessati in 4 punti importanti:
- CLASSIFICAZIONE NOVA. Suddivide i cibi in 4 classi in base al grado di lavorazione: dalla prima classe meno trasformata alla quarta “ultraprocessata”.
- PROCESSI. Raffinazione, pastorizzazione, surgelamento e precottura, ma anche confezionamento sottovuoto e aggiunta di additivi e conservanti sono solo alcuni dei processi ai quali possono andare incontro i cibi. Quest’eccessiva lavorazione dei cibi porta ad un impoverimento graduale di vitamine, minerali e antiossidanti. Il cibo “vivo” e genuino si trasforma così in cibo “morto” dal punto di vista nutrizionale, ossia privato dei suoi nutrienti.
- CONSUMI IN AUMENTO. Il cibo ultraprocessato copre il 58% delle calorie consumate dagli americani e dal 24 al 36% dagli europei.
- STUDIO ITALIANO. Gli italiani consumano in media 180 g di cibi ultraprocessati al giorno. Chi ne consuma di più del 14,6% mostra +26% di mortalità generale, +58% cardiovascolare e +52% ischemica.
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