Cosa mangiavano i Romani? Oggi ti porto indietro nel tempo curiosando fra le abitudini alimentari dei nostri antenati

di Loreto Nemi, dietista e nutrizionista, docente universitario

 

Cosa portavano sulla tavola i Romani? Esistevano già i fast food? Quali erano i cibi più mangiati?

In quest’articolo ti racconterò delle abitudini alimentari di un popolo che ha comandato sul mondo per più di mille anni: i Romani.

Gli ultimi ritrovamenti a Pompei hanno confermato ciò che già da tempo si pensava: i Romani non erano poi così distanti dalle nostre consuetudini quotidiane. Andavano spesso di fretta, nel caos cittadino, e mangiavano un boccone veloce fermandosi alla popina, il fast food del I secolo d.C.

Nel corso dell’articolo leggerai tutte le curiosità legate anche alla qualità del cibo che mangiavano solitamente e agli ingredienti utilizzati. Cibo senz’altro biologico, 100% naturale e salutare. Inoltre, ti parlerò anche dei gladiatori, i temibili combattenti del Colosseo.

Iniziamo questo viaggio speciale, mettiti comodo!

L’alimentazione dei Romani

La ricerca archeologica ha dimostrato l’antichità della dieta mediterranea, già seguita dagli antichi romani.

Un antico fast food di Pompei (chiamato popina) mostra che, prima di Cristo, sulle sponde del Mediterraneo, si poteva acquistare carne e pesce, lumache, vino con fave.

Gli elementi centrali della dieta romana erano costituiti da vari cereali e dall’olio extravergine d’oliva.

Questo è un regime alimentare che oggi sappiamo essere decisivo per il mantenimento della buona salute del fisico, associato al movimento fisico e a uno stile di vita regolare.

Fra i principali cerali che componevano la dieta mediterranea romana c’erano il miglio, il panìco, il favino, il farro e l’orzo.

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L’alimentazione dei gladiatori

Nell’antica Roma doveva essere fatto noto che ai gladiatori fosse imposto un particolare regime alimentare se autori come Tacito e Giovenale possono, nelle loro opere, paragonare determinati tipi di dieta alla “sagina” dei gladiatori.

Sono poi Plinio il vecchio e Galeno di Pergamo a offrire maggiori dettagli su quali alimenti facessero parte di questo regime.

Al centro della dieta c’erano delle zuppe di cereali e legumi.

Orzo, soprattutto, che consentì a Plinio di definire i gladiatori come hordearii, cioè mangiatori d’orzo.

Ma anche miglio e grano, tutti misti a fagioli, in special modo lenticchie e fave.

Una dieta molto povera di proteine animali e in controtendenza con le diete dei più moderni atleti.

Questi alimenti dovevano contribuire a conferire al corpo dei combattenti dell’arena uno strato di grasso che potesse proteggere le parti vitali dai colpi e non comprometterne la funzionalità muscolare.

A questi alimenti si aggiungeva un tonico a base di cenere e ossa che doveva fornire calcio per rinforzare le ossa sottoposte a continui stress secondo Galeno, medico in una palestra gladiatoria. I dati delle fonti storiche sono supportati dalla ricerca scientifica.

Infatti, uno studio del 1993 curato dal Dipartimento di Medicina Forense presso la MedUni di Vienna, in collaborazione con il Dipartimento di Antropologia dell’Istituto di Medicina Forense dell’Università di Berna ha analizzato i diversi individui identificabili come gladiatori. Le analisi chimiche condotte hanno permesso di confermare che tali individui non solo prediligevano una dieta ricca di cereali e legumi ma ad essa associavano diversi tipi di vegetali. Inoltre, hanno rilevato un alto contenuto di calcio e stronzio che dovevano provenire proprio dalla miscela citata da Galeno.

Gli alimenti ritrovati in area vesuviana nel I secolo d.c. sono:

· Favino

· Farro

· Lenticchie

· Orzo

· Panico

 

Miglio: le testimonianze di un cereale antichissimo

Il miglio e il panìco sono due cereali simili, appartenenti alla famiglia delle graminacee, e la loro somiglianza faceva sì che i popoli antichi li confondessero.

Il miglio, nato secondo alcuni in Asia, secondo altri in Egitto, è uno dei cereali di più antica coltivazione, antecedente al grano. In Cina si hanno testimonianze della coltivazione del miglio addirittura risalenti a 4000 anni fa. Mentre in Asia e in Africa il miglio era mangiato comunemente dall’uomo, in Europa si preferiva adoperarlo per la fermentazione di alcolici o per l’alimentazione dei volatili da allevamento.

Il miglio è un cereale privo di glutine, la quantità delle sue proteine è vicina a quella del grano ma possiede più aminoacidi essenziali e per questo il suo valore biologico è maggiore.

Altro tipo di miglio è il miglio indiano, un cereale la cui coltivazione iniziò in Africa circa 5000 anni fa. In realtà, arrivò in Asia solo 3000 anni fa ma oggi è ampiamente coltivato in India e in Nepal; rimane coltivato in Africa nella zona sudorientale del continente.

La versatilità di questo cereale è incredibile: può essere consumato in chicchi oppure polverizzato per preparare prodotti da cuocere in forno.

I chicchi possono essere tostati come popcorn oppure fatti germogliare, così da diventare uno spuntino molto nutritivo e assai digeribile. Inoltre, il miglio indiano ha alte qualità nutrizionali rispetto ad altri cereali, possiede ferro, fosforo e calcio nonché la metionina, che è un aminoacido fondamentale per la dieta umana. Il contenuto proteico è alto e stimato fra il 6% e il 13%.

Esiste poi il miglio perlato, coltivato per la prima volta in Africa circa 4000 anni fa, diffusosi poi anche in India. I maggiori produttori mondiali di miglio perlato, oggi, sono i paesi dell’Africa occidentale come la Nigeria ma ampie coltivazioni sono presenti anche in Uganda e in Sudan. Anche il miglio perlato può essere consumato in chicchi oppure trasformato in farina. Per entrambe le sue forme alimentari, i paesi produttori hanno sviluppato piatti caldi e freddi molto vari: in Africa, si va dal pane di miglio ad un impasto di miglio, datteri e formaggio che si consuma durante gli attraversamenti del Sahara, fino ad arrivare ad una bevanda analcolica; in Asia, invece, la sua farina produce torte e pane azzimo mentre i chicchi sono tostati oppure arrostiti.

Il miglio perlaceo è un cerale con il 12% di contenuto proteico e risulta molto digeribile; fornisce vitamina A, carotenoidi, fosforo, calcio e ferro; deve però essere consumato con attenzione perché è un cerale ad alto valore energetico, poiché contiene molti grassi (soprattutto acidi grassi polinsaturi).

Dall’America, invece, e quindi importate in Europa a partire dal XVI secolo, sono le specie di teosinte (della famiglia delle Poaceae o Graninacee).

Oggi il teosinte è coltivato in tutta l’America tropicale e subtropicale ma la sua origine deve essere ricercata nei territori del Guatemala e del Messico.

Nel 1500, il teosinte è descritto dai colonizzatori europei come assai simile al granturco: non solo per la forma ma anche perché in America cresceva spontaneamente senza bisogno di semina. In realtà la pianta di teosinte è più bassa di quella del mais, ha molti fusti e produce piccole pannocchie con pochi semi.

Soprattutto, i semi della pianta originaria sono difficilmente consumabili poiché protetti da una spessa membrana dura. Oggi, però, si è riusciti a produrre una qualità di teosinte che non presenta questo involucro.