Intervento dietetico nel diabete mellito
Gli obiettivi principali della dieta per il diabete mellito sono:
– Aiutare i pazienti diabetici a raggiungere e mantenere un buon controllo metabolico
– Prevenire complicanze acute e a lungo termine
– Migliorare lo stato generale di salute
In Italia è stato recentemente rilevato che il 60% dei pazienti diabetici non si attiene sufficientemente alle prescrizioni dietetiche raccomandate: risulta così complesso il raggiungimento di tali obiettivi. Fattori di ordine tradizionale, lavorativo e sociale, nonché il rifiuto psicologico nei confronti di una malattia che richiede continui sacrifici e moderazione, sono di ostacolo al conseguimento di una corretta terapia nutrizionale. Il diabetico tende spesso a sottovalutare l’efficacia intrinseca della dieta, convinto di poter compensare gli abusi alimentari con la terapia farmacologica.
Distribuzione dei principi nutritivi
Non vi è motivo per pensare che una persona affetta da diabete abbia un fabbisogno energetico diverso da quello di una persona sana che presenti le stesse caratteristiche somatiche, la stessa età e svolga un’equivalente attività lavorativa. In condizioni normali non esistono quindi presupposti per porre grosse limitazioni alla dieta di un diabetico, fuorchè la necessità di mantenere possibilmente un peso adeguato. Tale regola vale soprattutto per i diabetici obesi per i quali sarebbe opportuno ridurre le calorie raccomandate in modo da ottenere un progressivo dimagrimento fino al raggiungimento del peso ideale; è stato infatti osservato che la perdita di peso associata con una diminuzione del grasso corporeo totale provoca un marcato miglioramento della tolleranza ai carboidrati ed una riduzione della posologia degli ipoglicemizzanti. Recentemente però, considerati gli scarsi successi da parte dei diabetici obesi nel mantenimento del peso a lungo termine, l’American Diabetic Association (ADA) ha stabilito che la terapia nutrizionale deve essere rivolta soprattutto al raggiungimento degli obiettivi riguardanti il metabolismo glucidico e lipidico e la pressione arteriosa. In concomitanza di altre malattie, la dieta andrà opportunamente modificata; ad esempio in caso di patologie renali si dovranno ridurre la quota proteica e l’apporto di potassio e fosfati.
In seguito alla scoperta dell’insulina (1921), quando, per i pazienti affetti da diabete mellito di tipo I, non fu più necessaria una dieta rigorosissima, le raccomandazioni per l’alimentazione hanno subito continui cambiamenti. Attualmente non esiste più una “alimentazione per diabetici” unica, ma una serie di linee guida che nutrizionista e paziente devono concordare al fine di pianificare un regime dietetico ottimale per la terapia medica e per la prevenzione delle complicanze a lungo termine del diabete, personalizzando la dieta in base alle singole esigenze di vita del paziente.
L’American Diabetic Association insieme a tutte le principali associazioni diabetologiche internazionali sono concordi nel raccomandare schemi dietetici basati su un normale apporto di carboidrati e di fibra alimentare, una rigorosa limitazione della quota lipidica, con particolare riguardo ai grassi saturi, ed un apporto fisiologico di proteine.
La seguente tabella riporta le attuali indicazioni dietetiche.
Ripartizione dell’apporto di nutrienti nella dieta del diabetico | |
Componenti | Raccomandazioni |
Carboidrati | 50-60% delle calorie totali |
complessi | 80% |
semplici | 20% |
Proteine | 10-20% (0.8-1 g/kg d peso corporeo) |
Grassi | 30% |
saturi | 10% |
monoinsaturi | 60-70% |
polinsaturi | 10% |
colesterolo | ≤ 300 mg/die |
Fibra alimentare | 20-40 g/die |
Sodio | 6 g/die |
3 g/die se coesiste ipertensione arteriosa | |
Alcolici | Ridurre, in generale |
Abolire se presente ipertrigliceridemia, obesità, ipertensione |
Indirizzi dietetici per i due tipi principali di diabete mellito
Sebbene le diverse forme di diabete richiedano un trattamento dietetico di volta in volta differente, in linea di principio è opportuno che il paziente sappia ripartire i carboidrati in modo adeguato nell’arco della giornata: ciò è dovuto al fatto che la medesima quantità di zuccheri assunta giornalmente viene utilizzata dal diabetico in modo migliore se somministrata a dosi relativamente modeste ripetute nel tempo piuttosto che in un unico o duplice carico. Il frazionamento dei pasti nell’arco della giornata consente inoltre di evitare carichi eccessivi e di prevenire le crisi ipoglicemiche.
Generalmente si consigliano tre pasti principali (colazione, pranzo e cena) accompagnati da due/tre spuntini da assumersi a metà mattina, pomeriggio ed eventualmente prima di coricarsi, ai diabetici insulino-dipendenti, e soltanto tre pasti, eventualmente con uno spuntino, ai non insulino-dipendenti in quanto per costoro esiste generalmente la necessità di normalizzare il peso corporeo. Logicamente la dieta deve essere sempre personalizzata in base alla terapia farmacologica, ai ritmi di lavoro e di vita del paziente va corretta nel tempo in relazioni alle analisi cliniche di controllo. La seguente tabella riporta le principali raccomandazioni dietetiche per le due forme principali di diabete mellito.
Il contributo dei singoli nutrienti alla dieta del diabetico
Apporto proteico
La quantità di proteine che i nutrizionisti consigliano di assumere deve essere sufficiente ad assicurare la normale crescita, lo sviluppo ed il mantenimento delle funzioni dell’organismo. Per questo motivo i LARN raccomandano per l’uomo adulto un apporto proteico di 0.8-1 g/kg di peso corporeo, pari a circa il 10/20% del fabbisogno energetico giornaliero; questo apporto deve essere distribuito in modo equivalente tra:
– Proteine di origine animale, fornite soprattutto da pesce, coniglio, pollo e tacchino ed in seconda istanza da carni rosse, insaccati e formaggi;
– Proteine di origine vegetale, fornite principalmente da legumi e cereali.
In caso di insufficienza renale, malattia talora associata al diabete, si consiglia di modificare opportunamente la dieta riducendo la quota proteica.
Apporto lipidico
I lipidi possiedono alcune caratteristiche particolari che ne condizionano l’impiego nella dieta dei diabetici. La riduzione del contenuto dei grassi totali nell’alimentazione favorisce la perdita di peso che a sua volta ha un effetto benefico sul controllo glicemico. Inoltre, la raccomandazione di ridurre la quota lipidica deriva anche dalla frequente associazione tra malattia diabetica ed alterazioni del metabolismo lipidico. Per ridurre il rischio di queste malattie, di solito si raccomanda che non oltre il 30% dell’energia giornaliera totale provenga dai grassi, di cui non oltre il 10% da acidi grassi saturi. Si debbono pertanto privilegiare gli acidi grassi mono e polinsaturi derivati da grassi di condimento (soprattutto olio di oliva, mais o arachidi), pesce e legumi; il colesterolo alimentare non dovrebbe superare i 300 mg al giorno.
Apporto glucidico
Dal punto di vista della dieta per soggetti diabetici, i carboidrati vanno suddivisi in:
– Zuccheri semplici: monosaccaridi e disaccaridi a rapida azione iperglicemica;
– Zuccheri complessi: amidacei che dovrebbero comportare una risposta iperglicemica post-prandiale meno intensa e più diluita nel tempo
– Fruttosio: pur essendo uno zucchero semplice, determina solo un modesto e tardivo rialzo della glicemia e non richiede una quota supplementare di insulina per essere utilizzato dai tessuti periferici;
– Fibra alimentare: migliora la tolleranza ai carboidrati e riduce i valori glicemici post-prandiali, riducendo l’assorbimento intestinale di zuccheri.
Le attuali linee guida raccomandano che il contributo dato dai carboidrati al fabbisogno energetico giornaliero sia pari a 50-60%, si cui l’80% deve essere fornito soprattutto da amidi, ovvero pasta e pane integrali o legumi ed in seconda istanza da riso e patate, alimenti meno ricchi di fibra; il 20% deve essere sotto forma di zuccheri semplici presenti in frutta, latte, fruttosio e per i diabetici non obesi ed in buone condizioni di equilibrio metabolico anche in gelati e dolci.
L’iperglicemia postprandiale rappresenta il problema più importante nel trattamento del diabete mellito; molteplici sono i fattori che influenzano le diverse risposte glicemiche ai cibi: la quantità e la qualità degli zuccheri in essi contenuti, i trattamenti industriali ai quali vengono spesso sottoposti gli alimenti, la modalità di cottura, le interazioni con grassi, proteine e fibre alimentari che possono interferire sulla velocità di assorbimento intestinale dei carboidrati. Per molti anni si è ritenuto che i carboidrati complessi producessero un aumento minore della concentrazione di glucosio nel sangue rispetto al glucosio stesso o ad altri carboidrati semplice, detti “zuccheri rapidi”, in quanto la digestione e l’assorbimento dei composti amidacei richiede tempi più lunghi. Oggi questo modo di pensare ha perso gran parte del suo significato dal momento che, da studi a medio e lungo termine condotti su soggetti affetti da diabete mellito di tipo I o di tipo II, sembra non risultino differenze significative nelle risposte glicemiche dopo assunzione di quantità equivalenti di glucosio o di carboidrati complessi quali pane, riso o patate. Tuttavia, considerata la scarsità degli studi eseguiti, non vi sono sufficienti prove per decidere con certezza la reale equivalenza metabolica di zuccheri semplici e complessi; inoltre, non si hanno dati per il momento che assicurino l’assenza di complicanze a lungo termine.
Resta pertanto ancora valido il concetto di indice glicemico inteso come un metodo per valutare le diverse risposte glicemiche ai cibi contenenti carboidrati, ma negli ultimi anni è stato introdotto un altro concetto, quello del carico glicemico ancora più importante dell’indice glicemico.
L’indice glicemico è descritto dalla seguente formula:
Indice glicemico =
L’indice glicemico di un alimento è un parametro difficile da stabilire, in quanto viene influenzato da numerosi fattori, vediamo i principali:
- manipolazione tecnologica dell’alimento: tanto più un prodotto industriale è lavorato e tanto maggiore sarà il suo indice glicemico. Per esempio, i vari formati di pasta hanno indice glicemico diverso tra loro.
- Modalità e grado di cottura: l’indice glicemico dell’alimento cresce all’aumentare del tempo e della temperatura di cottura; per questo motivo è maggiore negli alimenti riscaldati rispetto a quelli freschi.
- Varietà e grado di maturazione: l’indice glicemico di frutta e verdura aumenta di pari passo con la maturazione del vegetale; tale parametro è inoltre influenzato dall’area geografica di produzione e dalle rispettive caratteristiche del clima e del terreno di coltura.
Quantità di grassi, proteine e di fibra presenti nell’alimento: aumentando i tempi digestivi, queste sostanze alimentari modulano negativamente la risposta insulinica.
Inoltre, occorre tener presente che l’indice glicemico è, per certi aspetti, un parametro fuorviante.
pur avendo lo stesso indice glicemico, le albicocche non sono come gli spaghetti!
Questa frase, un po’ provocatoria, serve ad introdurre un concetto estremamente importante. Infatti, nonostante l’indice glicemico sia lo stesso, per innalzare la glicemia di un analogo valore occorre introdurre una quantità di albicocche sette volte superiore rispetto a quella di spaghetti. Infatti, nelle albicocche, la percentuale di carboidrati è particolarmente ridotta, specie se paragonata a quella contenuta nella pasta.
E ancora:
30 grammi di pasta (IG=60) determinano un rilascio insulinico superiore rispetto a 10 grammi di glucosio (IG=100).
Basare le proprie scelte alimentari sul solo indice glicemico, non ha quindi alcun senso.
Per questo motivo è molto importante considerare un parametro, detto carico glicemico (CG), che tenga conto anche della quantità di carboidrati presenti nell’alimento. Tale criterio viene espresso dalla seguente formula:
CARICO GLICEMICO = (Indice glicemico x g carboidrati) / 100
Pur presentando dei limiti, la valutazione di indice e carico glicemico degli alimenti può tornare utile in vari casi:
un diabetico, infatti, deve privilegiare i cibi a basso IG, in modo da evitare eccessivi rialzi della concentrazione ematica di glucosio. Affinché si verifichi l’effetto desiderato è tuttavia importante contenere anche il carico glicemico complessivo del pasto.
Consumare cibi a basso Indice e carico glicemico è importante anche per tenere sotto controllo fame, appetito e peso corporeo. Infatti, quando si introduce un eccesso di cibi ad elevato indice glicemico, la massiccia risposta insulinica causa un rapido passaggio di glucosio dal sangue ai tessuti. Si instaura così un’ipoglicemia transitoria che, captata dal centro ipotalamico della fame, spinge l’individuo alla ricerca di cibo, con lo scopo di riportare nella norma i valori glicemici. Si entra così in un pericolosissimo circolo vizioso, che favorisce l’aumento di peso corporeo, con ripercussioni psicofisiche estremamente negative.
Dopo l’esercizio fisico sono invece preferibili cibi ad alto e medio indice glicemico, poiché in questo modo si promuove la secrezione di insulina. In simili situazioni questo ormone esercita funzioni particolarmente importanti, poiché favorisce il recupero, ripristinando le scorte di glicogeno e favorendo l’ingresso nelle cellule dei vari nutrienti (glucosio, amminoacidi e acidi grassi).
Fibra alimentare e frutta
Per quanto riguarda la quantità di fibra alimentare da assumere quotidianamente, per le persone affette da diabete mellito valgono le stesse raccomandazioni formulate per i non diabetici; si consiglia, cioè, di includere nella propria dieta cibi naturalmente ricchi di fibre solubili in modo da assumere giornalmente 20-40 grammi di fibra proveniente da fonti alimentari diverse quali verdura, legumi, cereali e frutta. E’ stato dimostrato che l’assunzione di fibra in quantità maggior di 20 g/die è in grado di svolgere un’azione ipolipidemizzante ed ipocolesterolemizzante, oltre ad un’azione modulante sui picchi glicemici ed insuline mici post-prandiali; tutto questo permette ai pazienti diabetici di ottenere un miglior controllo glicemico.
La frutta è un alimento molto ricco di fibra, ma contiene anche zuccheri semplici, ragion per cui fino a pochi anni fa il consumo era ristretto solo a poche varietà, come per esempio la mela. Attualmente non vi sono più restrizioni in tal senso, quindi il diabetico può mangiare qualsiasi tipo di frutto purchè tenga sempre in considerazione i limiti prefissati per gli zuccheri semplici.
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