Ho letto il libro di Carlo Petrini (Cibo e Libertà) e ci sono alcuni punti che mi son piaciuti molto. Il primo in cui lui si presenta come gastronomo e leggete cosa ci dice.
Sono un gastronomo.
No, non il mangione che non ha il senso del limite e gode di un cibo solo quanto più è copioso o quanto più è proibito.
Non lo stolto dedito ai piaceri della tavola che se ne infischia di come un cibo è arrivato al desco.
Mi piace conoscere la storia di un alimento e del luogo da cui proviene, mi piace immaginare le mani di chi l’ha coltivato, trasportato, manipolato, cucinato, prima che mi venisse servito.
Vorrei che il cibo che consumo non privi di cibo altri nel mondo.
Mi piacciono i contadini, il loro modo di vivere la terra e di saper apprezzare il buono.
Il buono è di tutti; il piacere è di tutti, poiché è nella natura umana.
C’è cibo per ognuno su questo pianeta, ma non tutti mangiano. Chi mangia, inoltre, spesso non gode, ma mette benzina in un motore. Chi gode, invece, spesso non si preoccupa d’altro: dei contadini e della terra, della natura e dei beni che ci puo’ offrire.
Pochi conoscono ciò che mangiano e godono per tale conoscenza, fonte di piacere che unisce con un filo rosso l’umanità che la condivide.
Sono un gastronomo, e se viene da sorridere, sappiate che non è semplice esserlo. E’ complesso, perché la gastronomia, considerata una Cenerentola nel mondo del sapere, è invece una scienza vera, che puo’aprire gli occhi. E in questo mondo d’oggi è molto difficile mangiare bene, ovvero come la gastronomia comanderebbe. Ma c’è futuro, sempre, se il gastronomo avrà fame di cambiamento.
(Carlo Petrini, Cibo e Libertà)
Veramente bello questo passaggio. E poi quando definisce i concetti di cibo, come buono, pulito e giusto. Sono spunti di riflessione. Perchè quando mangiamo un cibo, dobbiamo porci qualche domanda. Da dove viene questo cibo? Com’è stato prodotto? E’ di qualità o è un cibo industriale scadente? Ecc. Ecc. Di questi argomenti ne ho parlato proprio recentemente nelle lezioni che ho tenuto al Master in Turismo Enograstronomico del CTS.
Buono. L’attenzione alla qualità organolettica, al piacere (personale o condiviso, conviviale) al gusto inteso anche in termini culturali (ciò che è buono per può non essere buono in Africa, in Sud America, in Estremo Oriente, e viceversa). La bontà organolettica, che sensi educati e allenati sanno riconoscere, è il risultato della competenza di chi produce, della scelta delle materie prime, e di metodi produttivi che non ne alterino la naturalità
Pulito. La sostenibilità, durabilità, di tutti i processi legati al cibo, dalla semina nel rispetto della biodiversità passando per la coltivazione alla raccolta dalla trasformazione ai trasporti, dalla distribuzione al consumo finale, senza sprechi e attraverso scelte consapevoli. L’ambiente deve essere rispettato e pratiche agricole, zootecniche, di trasformazione, di commercializzazione e di consumo sostenibili dovrebbero essere prese in seria considerazione. Tutti i passaggi della filiera agro-alimentare, consumo incluso, dovrebbero infatti proteggere gli ecosistemi e la biodiversità, tutelando la salute del consumatore e del produttore.
Giusto. Senza sfruttamenti, diretti o indiretti, di chi lavora, nelle campagne, con retribuzioni gratificanti e sufficienti e mantenendo al contempo il rispetto per le tasche di chi compra, valorizzando equità, solidarietà dono e condivisione. La giustizia sociale va perseguita attraverso la creazione di condizioni di lavoro rispettose dell’uomo e dei suoi diritti e che generino un’adeguata gratificazione; attraverso la ricerca di economie globali equilibrate; attraverso la pratica della solidarietà; attraverso il rispetto delle diversità culturali e delle tradizioni.
Scrivi un commento